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Sin da
giovanissimo ho sempre avuto una propensione per la ricerca di nuove
vie: questa è diventata una caratteristica permanente nel mio DNA di
alpinista. In seguito ho scoperto il fascino dei viaggi in versione
scialp e mountain-bike, e da allora non perdo occasione; la vita è
troppo breve, non basterà certo per visitare tutti i luoghi che mi
piacerebbe conoscere. Dopo tanti viaggi scialpinistici per le nevi di
mezzo mondo, per quest’anno con l’amico Roger cercavamo una meta un po’
diversa, qualcosa di insolito, di nuovo. Palleggiandoci varie proposte,
alla scrematura finale siamo indipendentemente giunti alla medesima
conclusione: At-Bash. Un nome pressoché sconosciuto, che non dice nulla
a nessuno. Già solo per questo l'idea ha preso a piacermi un sacco!
Il
Kirghizistan, o Kyrgyzstan nella traslitterazione internazionale, è un
paese quasi tutto montuoso con poco più di 5 milioni di abitanti che
parlano il kirghiso, lingua scritta in caratteri cirillici ma
appartenente al ceppo turco come quella della confinante popolazione
degli Uiguri, in territorio cinese. La Repubblica del Kirghizistan è
nata nel 1990 dal collasso dell'Unione Sovietica; come altri degli
stati ex URSS, ha passato un periodo confuso con governi autoritari,
che, almeno secondo il nostro giovane accompagnatore Anarbek (laureato,
ha trascorso un anno di studi in USA e un altro in Cina), ha ceduto il
passo ad una matura democrazia in cui partiti di destra e di sinistra
si possono contendere il governo. Una piacevole conseguenza, per noi, è
che per l'ingresso in Kirghizistan non sia necessario il visto sul
passaporto.
Delle
montagne kirghise alcune sono note e frequentate da spedizioni, come il
Pic Lenin (7134 m), sul confine con il Tagikistan, o il Khan Tangri
(7010 m), dove convergono i confini con il Kazakistan e con la Cina.
Gran parte della corrugazione montuosa nota con il nome cinese di Tien
Shan (Montagne Celesti) si trova in territorio kirghiso, e ne fa parte
la ben distinta catena dell'At-Bash, isolata da larghe valli
longitudinali, che si estende in direzione ENE-WSW per circa 100 km con
una larghezza media sui 25 km, incisa da numerose valli trasversali
molto profonde e vette per lo più rocciose che raggiungono i 4790 m.
At-Bash, che in lingua kirghisa significa testa di cavallo, è anche il
nome del fiume che ne delimita le pendici settentrionali, mentre
At-Bashi si chiama la maggiore cittadina della valle, che si trova a
2200 metri di quota alla confluenza nell'At-Bash del fiume Kara-su
(acqua nera), la cui larghissima valle, che sembra un perfetto enorme
piano inclinato, è percorsa dall'importante strada che collega il
Kirghizistan con la Cina attraverso il Passo Torugart (3752 m).
Sommando le popolazioni della valle, sparse in una decina di villaggi,
si contano circa 15000 abitanti, le cui attività principali sono
l'allevamento (cavalli, capre e pecore, bovini) e una stentata
agricoltura, vista la breve durata dell'estate e il clima continentale
che oscilla tra minime invernali a -40 gradi e massime estive a +40
gradi. Il fiume At-Bashi è lungo 180 km e sfocia a Naryn, città
capoluogo della regione (oblast), nel fiume omonimo che dopo altri 535
km confluisce con il Kara Darya formando il Syr Darya, il più lungo
fiume dell'Asia centrale, che percorre 2212 km attraverso Kirghizistan,
Uzbekistan, Tagikistan e Kazakistan, sfociando in quel che rimane del
lago di Aral, ormai semiprosciugato.
Le
informazioni sull'At-Bash non sono molte: le uniche mappe topografiche
sono le vecchie tavolette militari russe in scala 1:100.000; su
internet sono anche reperibili le curve di livello digitali a 25 metri,
molto utili da installare anche sul GPS. Dal report (disponibile in
rete nell'aggiornamento del 2015) Mountaineering regions of Kyrgyzstan,
redatto da Vladimir Komissarov, presidente del Club Alpino
del Khirghizistan (KAC), risulta che i monti At-Bash sono stati
esplorati per la prima volta dallo stesso Komissarov nel 2002 assieme
ad alpinisti della regione di Naryn, e successivamente, nel 2007 e nel
2011, da due spedizioni britanniche guidate rispettivamente da Pat
Littlejohn e da Andrew Vielkovsky, dirette alle gole di Kensu e
Muzdabas sul versante meridionale. Poi... il vuoto! In questa
circoscritta regione vi sono più di 60 (sessanta!) vette superiori ai
4000 m, più di 10 oltre i 4500 m, nessuna delle quali è mai stata
salita. Vette vergini! A maggior ragione non risulta alcun approccio
scialpinistico, tantomeno sul versante nord! E noi come avremmo potuto
resistere a una simile tentazione?!
Ad alimentare la mia voglia di rivisitare il Kirghizistan c'erano anche
i bellissimi ricordi di un viaggio dell’ormai lontano 1998, quando
scalammo sulle pareti delle valli di Ak-su e Kara-su; anche allora
all'avventurosa ricerca di nuovi spazi in un paese che si era appena
reso indipendente dall’URSS, pieno di incertezze e contraddizioni!
Il primo
impatto con la capitale Bishkek (che in epoca sovietica si chiamava
Frunze, dal cognome di un rivoluzionario bolscevico ivi nato) è
positivo: molto verde, pulitissima, il traffico un po' caotico di una
capitale che vive la crescita economica attuale dell'Asia centrale.
At-Bashi dista da Bishkek solo 360 km, ma poiché sul posto ci servirà
un mezzo fuoristrada per accedere alle valli, impieghiamo circa 10 ore
sul rumorosissimo e lentissimo Ural 4320, un vecchio mezzo di origine
militare a sei ruote motrici da 10 tonnellate con motore diesel da
10.000 cc, che percorre 2 km per litro di gasolio ad una velocità media
su strada asfaltata di 40 km/h! Anche questo fa parte del fascino di
questi viaggi, in paesi dove non è tutto previsto ed organizzato con
rigide tabelle e affidabili orari, dove la gran virtù della pazienza
lascia grandi e inattesi spazi alla fantasia e all’immaginazione. Se
siamo capaci di sopportare qualche disagio, più che altro conseguenza
dell'essere viziati da uno stile di vita comodo e standardizzato, le
soddisfazioni e i ricordi possono successivamente ripagarci
oltremisura.
 Lasciata
la verdeggiante valle di Bishkek il paesaggio si fa più severo:
grandissimi spazi, montagne senza nome che compaiono in ogni direzione,
vari saliscendi tra scoscesi dirupi, boscosi versanti, poi aride e
tondeggianti colline a perdita d'occhio, vallate erosive con tutte le
sfumature di colore dal grigio al verdognolo, dall'ocra al rosso. Un
tramonto luminoso ci accoglie ad At-Bashi, dove siamo ospitati nella
casa di una gentile famiglia matriarcale (pare che tutti ubbidiscano
alla nonna!): ampi cameroni con pareti ricoperte da enormi tappeti,
qualche letto e materassi per terra, ambiente caldo e cibo locale. Le
latrine sono all’esterno, come nelle case dei nostri (bis)nonni,
all'esterno anche una doccia da caricare con bidoni d’acqua. Per le
pulizie personali compensiamo egregiamente andando alla vicina banya,
l’ottima sauna in stile russo, ancorché molto rustica, dove ci
rigenereremo dopo ogni gita.
La sveglia
alle 6 del mattino del 6 aprile fa iniziare il primo giorno di attività
scialpinistica: finalmente le prime pelli di foca a calcare le nevi
dell'At-Bash! Il tempo è bruttino, ma partiamo carichi di curiosità per
accedere ad uno dei due solchi vallivi principali che si congiungono di
fronte al paese, che dovrebbero (il condizionale è d’obbligo con mappe
1: 100000 in cirillico) chiamarsi Acha Kayindy (W) e Boskurbu (E). Il
nostro ingombrante ma efficace Ural arranca per tracce sconnesse,
stradine sterrate e pascoli aridi, ma - ahimè! - dobbiamo constatare
che le linee sulla mappa che speravamo rappresentassero strade di
accesso alle valli sono in realtà delle misere tracce percorribili solo
da cavalli, al massimo in moto, e la neve ormai inizia molto in alto!
Le lancette avanzano implacabili sul quadrante dell’orologio, urge una
decisione per non perdere la giornata. Ieri, scendendo da nord nella
valle, avevamo notato che nella zona più orientale della catena la
copertura nevosa arriva più in basso: quindi cambiamo completamente
direzione, riprendiamo la strada del fondovalle verso est e alla prima
lingua di neve che lambisce la strada fermiamo Sasha, l’autista che
amichevolmente abbiamo battezzato Gambadilegno per le brusche frenate
del mezzo, e partiamo con le pelli a imboccare una valle che non
sappiamo esattamente dove ci porterà! Come tutte le valli laterali
della catena, essa si insinua verso sud tra montagne che arrivano a
superare i 4000 m, quindi l’importante è riuscire ad accedere
all'interno, dove poi qualche elevazione interessante da salire e
sciare si troverà… speriamo! L'intuizione si rivela giusta. Dopo alcuni
chilometri di falsopiano finalmente irti pendii ci contornano. Dal GPS
capiamo di essere in un solco vallivo che conduce ad un passo, il quale
dà accesso ad una vetta quotata 4125 m sulla mappa russa; purtroppo il
tempo è peggiorato, il vento è forte, la visibilità si è molto ridotta,
e anche l’ora è un po' tarda per proseguire: decidiamo di non azzardare
oltre. Bisogna considerare il fatto di essere soli, senza possibili
aiuti esterni; in caso di auto-soccorso, portare una barella di fortuna
fuori da queste interminabili valli prenderebbe molto tempo, fatto che
non può essere sottovalutato! A malincuore, dunque, facciamo
dietro-front.
Il giorno
successivo, giovedì 7 aprile, decidiamo di andare a tastare le
condizioni verso il Passo Torugart, che comunque volevamo visitare. La
zona, sul confine con la Cina, è militarizzata e per accedervi serve un
permesso speciale che ci eravamo già fatti procurare. Da At-Bashi si
tratta di "soli" 160 Km, ma il nostro Ural sembra soffrire la quota più
di noi e ci arriviamo ormai passato mezzogiorno. La neve è pochissima,
nonostante siamo sopra i 3500 m! Tuttavia la dorsale meridionale ci
illude con attraenti pendii, regolari e perfettamente innevati, ma si
dà il caso che il governo kirghiso abbia recentemente venduto alla Cina
i versanti dal fondovalle fino alle creste che segnavano il confine
storico, e che immediatamente i cinesi abbiano eretto un’orribile
doppia linea di filo spinato che impedisce ogni accesso! Le creste,
ormai tutte cinesi, mostrano monti di oltre 5.000 m protetti da
cospicue seraccate di ghiaccio, dalla parte opposta c'è un enorme lago
ghiacciato, il Chatyr-Kul (quota 3.530m, 180 kmq di superficie!) appena
visibile perché la strada ne dista 5 km. Il luogo ha un gran
fascino, ma non credo che tutti gli amici riescano ad apprezzarlo:
sembrano più che altro preoccupati di non trovar neve nei prossimi
giorni. Qualche dubbio comincia a sorgermi: avrò fatto bene a
coinvolgere tutto il gruppo in questa spedizione un po’ azzardata?
La sera non ci perdiamo d’animo. Studiando le carte e le curve di
livello digitali immaginiamo che la valle immediatamente a ovest di
quella del giorno precedente possa condurre a qualche bella montagna:
così sappiamo almeno dove puntare con l’Ural all’indomani senza perdere
tempo.
Venerdì 8
aprile: scesi dal mezzo ricomincia l’avventura: un'altra
lunghissima valle di accesso, poi versanti ripidi e rocciosi sembrano
sbarrare la via. Procedendo un po’ a naso e un po’ a GPS superiamo un
ripido pendio e finalmente ci appare lo sbocco ad un passo sui 4000 m,
dal quale si può agevolmente salire a una cima perfettamente sciabile
fino al culmine, quota 4159,2 m sulla mappa russa! Entusiasmo generale,
morale a mille, dubbi svaniti! Riemergono in me le forti impressioni
dell’estate del 1992, quando con l’immancabile Sonia e altri tre baldi
giovani ci avventurammo senza cartografia in una valle dell’Himalaya
indiano alla ricerca di qualche sconosciuta torre granitica da scalare;
dopo quattro giorni di cammino, svoltato l’angolo di un ghiacciaio
senza nome, comparvero delle stupende guglie granitiche mai
viste da occhio umano: era la Miyar Valley e, anche se il brutto tempo
ci fermò per quattro giorni su una cengia a pochi tiri dalla vetta,
negandoci la soddisfazione della cima, quelle visioni, quelle
sensazioni, quell’esperienza di scoprire - all’alba dell’anno 2000 -
una valle ed un intero gruppo di montagne (che poi divennero famose per
le scalate realizzate negli anni successivi), costituiscono un ricordo
più intenso e profondo di tanti altri. 
Ma torniamo
alla nuova
"scoperta", l’At-Bashi. La sciata da questa "quota 4159" è su firn
perfetto, con buone pendenze fino a metà percorso, poi pendii più dolci
e quindi la lunga valle, con sorpresa finale sugli ultimi prati dove il
remollo pomeridiano ci fa sprofondare fino alla cintola e ci complica
inaspettatamente l’ultimo tratto. Comunque arriviamo all’Ural ancora
con il sorriso stampato sulle labbra e super-motivati! La sera si
festeggia prima con la birra, che in verità non manca mai, e poi con
l’ottimo cognac kirghiso! Avendo ragione di credere che quella montagna
non sia mai stata salita prima (Komissarov ce lo confermerà al nostro
ritorno) cominciamo a anche fantasticare su come battezzarla:
accordando la nostra fantasia latina con l'ispirazione dai toponimi
locali, ne esce un Choku Chichi-bel (in cirillico ЧОKУ ЧИЧИБЭЛ,
Choku="picco", pronuncia per gli italiani: "Ciòcu Cìcci-bèl").
Sabato 9
aprile. Il tempo è peggiorato e mentre parte del gruppo riposa
le membra affaticate dal Choku Chichi-bel, i più agguerriti
decidono di provare a forzare un "ingresso" nella Acha Kayindy,
l’incassata valle che ci ha respinti il primo giorno. Non abbiamo
ambizioni di quattomila: ci basta salire la prima montagna con un po’
di neve per dare un’occhiata intorno. Dal punto raggiunto la prima
volta, Gambadilegno spinge il suo terribile Ural su una pista sconnessa
per prati e dossi fino all’imbocco della valle, e poi ancora un pochino
oltre... Forse un po’ troppo, fin quando le 10 tonnellate di ferro
urlante sdrucciolano di traverso su una stretta curva infangata e, per
fortuna, si bloccano sul ciglio del dirupo! Fine corsa. Assistiamo
impotenti, fortunatamente dall’esterno, alle peripezie per rimettere in
carreggiata e girare il mezzo, poi finalmente ci incamminiamo.
Spalliamo gli sci a lungo, perché il sentiero sta basso nella valle.
Alla prima neve distribuita tra gli arbusti di cupressacee (l'analogo
locale dei pini mughi) cominciamo a salire a zig-zag rispolverando
tecniche prealpine a noi care sul terreno di casa quando la neve
scarseggia. Nel pieno di una nevicata raggiungiamo la prima cima (3671
m) di una infinita cresta con una serie di cime, alcune superiori ai
4000 m. Stante però che l’accesso a questa valle è evidentemente più
complesso e lungo di altre, scartiamo la zona per i pochi giorni
rimasti. Con le esperienze fatte cominciamo a comprendere meglio la
tipica orografia di queste valli, e così, con l’aiuto delle curve di
livello digitali a 25 metri, più utili della mappa russa al 100k,
tracciamo sul GPS una ipotetica linea che ci potrebbe condurre ad un
quattromila il giorno successivo.
Domenica 10
aprile dirigiamo Sasha Gambadilegno dal villaggio che
prende il nome di "1° Maggio" verso l’imbocco della Tuyuk Bogoshti, una
bella ed ampia vallata che attraversa tutto il gruppo. Questa volta lo
fermiamo prima di infangarci in qualche anfratto e partiamo ancora sci
in spalla, ma non per molto. Mentre percorriamo il primo tratto sulle
pelli, a sorpresa ci affianca un giovane pastore a cavallo, sicuramente
incuriosito dalle nostre bardature ed intenzioni. Figura folkloristica,
diventa subito il soggetto delle nostre fotografie, ma pure noi
dobbiamo sembrargli poco consueti, perché a sua volta ci scatta
numerose foto con il suo
immancabile telefonino: finiremo su qualche social network kirghiso
come
stranezza del
giorno? La valle principale continua a lungo salendo
leggermente, ma a un certo punto la traccia GPS "teorica" dice di
seguire una valle/canale impervia e stretta che si dirama a destra e
culmina su belle cime perfettamente innevate, apparentemente ripide.
Invece il nostro pastorello ci incita solerte a continuare per il solco
principale, e quasi tutti nel gruppo tenderebbero a seguire la sua
indicazione; però la valle di destra ci permetterebbe di guadagnare
quota molto più velocemente. Un po' di indecisione serpeggia: in questi
momenti la democrazia non funziona, bisogna scegliere "d’autorità".
Guadagnandomi un attimo di impopolarità dirigo a destra, su terreno che
si fa subito stretto e con molta neve, impossibile seguirci per il
giovane kirghiso a cavallo, che quasi offeso fa dietro-front mentre il
gruppo segue senza altre obiezioni. Superato facilmente il budello
iniziale grazie alla neve accumulata dalle slavine, il vallone continua
tra pendii laterali veramente ripidi: in pieno inverno sarebbe una
trappola per topi, ma ora è perfetto e sicuro. Esso continua
stile
toboga per parecchie centinaia di metri fino alla base della "nostra"
montagna. La traccia preparata sul GPS è perfetta, complimenti a Roger,
il nostro capo-cartografo! Saliamo per un ripido crinale sulla destra e
ci ritroviamo sulla cresta a quota 3954 m, ma non è una vera cima,
bensì una specie di colle. I compagni si danno per "arrivati", ma a me
manca qualcosa… Dalla vera cima ci separa una cresta perlopiù rocciosa
e dall'aspetto non semplice, ma abbassandomi un poco sulla destra trovo
un passaggio, lascio gli sci e continuo a piedi. In tre mi seguono. In
un tratto di raccordo tra le rocce dove la neve si è accumulata vado
giù fino alle ascelle, per fortuna sopraggiunge Mirco che, pesando 10
kg di meno, riesce a galleggiare per quei tre passi necessari a
riprendere le rocce. Da qui nessuna difficoltà fino alla vetta, dove
l'altimetro segna 4016 metri. Ci abbracciamo e alziamo le braccia a
salutare i compagni rimasti al colle, i quali non resistono alla
tentazione di salire a loro volta! Siamo di nuovo tutti alle stelle.
Ancor di più lo siamo la sera dopo la discesa da antologia su perfetto
firn! Altra sauna, altro brindisi, altra bellissima serata in
compagnia, con la proposta di dedicare alla giovane Chiara la nuova
montagna, quindi Choku Kiara (ЧОKУ KИAРA).
Lunedì 11
aprile, ultimo giorno. Sarebbe bello riprovare il quattromila
mancato il primo giorno, ma l’accumulo di fatica potrebbe essere
eccessivo; inoltre le previsioni meteorologiche danno il tempo in
peggioramento fin dalla mattinata. Ripieghiamo su una cima ben visibile
già dalla strada e anche per questa proviamo a tracciare sul GPS un
ipotetico itinerario. Tuttavia non riusciamo a trovare la giusta pista
che ci porti al punto di partenza immaginato e Sasha ferma il suo mezzo
all’inizio del bosco, dove parte un’incassata valletta, che almeno è
innevata. Per non spallare saliamo in questa ripida boschina, che
ancora una volta ci ricorda le ravanate di casa, ma quando usciamo dal
bosco realizziamo di essere fuori dalla traccia ipotizzata... di un
paio di valli! Poco male. Diritto sopra di noi si erge un bel picco
innevato (3650 m) che raggiungiamo facilmente e dal quale scendiamo a
serpentine, ancora una volta con un firn di grande soddisfazione! La
cima che inizialmente teorizzavamo di raggiungere è sulla continuazione
della cresta, quotata sulla mappa russa 3806,6 m, ma va benissimo così.
Siamo già
alla fine di questa inebriante esperienza, salutiamo la
famiglia che ci ha ospitati, ringraziamo Sasha Gambadilegno e la nostra
guida/accompagnatore Anarbek. L’ospitalità è stata ottima, la gente
kirghisa resterà nei nostri ricordi! Dopo la Patagonia nell'84, il
Karakorum nell’88, l’Himalaya Indiano nel '91 e ’92, la Groenlandia nel
’96, pensavo che non mi sarebbe più potuto capitare, in questo mondo
ormai sempre più globalizzato e conosciuto, di poter salire montagne
vergini, esplorare vallate sconosciute e non mappate, e poter
addirittura battezzare delle cime: e invece ecco l’At-Bash! In genere
sono abbastanza restio ad usare la parola esplorazione, spesso
pronunciata a sproposito da chi viaggia per la prima volta in un luogo,
che è però già stato ben descritto e mappato; in questo caso invece
credo possiamo tranquillamente dire che il nostro è stato vero
"scialpinismo esplorativo"! Chissà quanti luoghi come questo
esistono ancora nascosti nelle pieghe del pianeta. Speriamo che la
serendipità che ci ha portati nell'At-Bash ci indichi qualche altra
bella scoperta in futuro. Puntando il dito "un po' a caso" sul
mappamondo!
Paolo
Vitali, Aprile 2016
Spedizione
patrocinata dalla Sezione CAI-SAT Cavalese
Sciatori
del gruppo
Sonia Brambati, Franz Carrara, Gianni Corti, Mirco Gusmeroli, Denis
Ganz, Vigilio Ganz, Giulia Meregalli, Renato Pizzagalli, Fedorino
Salvadori, Franco Scotti, Ruggero Vaia, Paolo Vitali.
Gite effettuate
1) 6 Aprile 2016 – Q. 4125 m, valle Karaili Bulak
(tentativo, fino a quota 3674 m)
2) 8 Aprile 2016 – Q. 4159,2 m, valle Sari Tal – nome
proposto Choku Chichi-Bel (ЧОKУ ЧИЧИБЭЛ)
3) 9 Aprile 2016 – Q. 3671 m, valle Acha Kayindy
4) 10 Aprile 2016 – Q. 4016 m, valle Tuyuk Bogoshti – nome proposto
Choku Kiara (ЧОKУ KИAРA)
5) 11 Aprile 2016 – Q. 3650 m (anticima della Q. 3806.6 m), valle
Kichino Kek Djol
Info pratiche
Periodo:
In pieno inverno le temperature possono raggiungere i -40 C,
per contro in aprile il sole scalda subito molto e la neve in bassa
quota sparisce rapidamente. Quindi ad inizio aprile bisogna considerare
un po’ di spallaggio, mentre fine marzo potrebbe essere un buon
periodo, a patto che non vi siano state nevicate recenti, nel qual caso
caso va fatta molta attenzione alle pendenze! In pieno inverno
probabilmente è possibile sciare con bella polvere, ma accontentandosi
delle cime più esterne della catena, senza addentrarsi nelle valli.
Accesso:
In aereo sulla capitale Bishkek, attualmente i voli più
frequenti sono quelli delle compagnie Turkish Airlines e Aeroflot. Una
buona strada asfaltata copre la distanza di circa 360 km tra Bishkek e
At-Bashi. Ad At-Bashi è necessario un mezzo fuoristrada per l’accesso
alle valli.
Alloggi:
Ad At-Bashi la famiglia della signora Akaeva Tursunkan offre
ospitalità a mezza pensione, ul.Arpa 25, tel. (+996) (0) 3534 23944,
cellulare (+996) (0)773 105774.
Cambio:
ad aprile 2016 il cambio corrispondeva a circa 78 “Kyrgystani
Som” per 1 €.
GPS:
molto utile per orientarsi nelle valli e in caso di brutto tempo.
Su openmtbmap.org è disponibile la mappa del Kyrgyzstan e per prezzo
modico anche le utilissime curve di livello.
Mappe:
i file-immagine delle delle mappe dell'esercito russo sono
reperibili su loadmap.net; la scala più fine reperibile è
1:100000 (1:100k).
Telefoni:
la soluzione migliore è acquistare una scheda ricaricabile
locale, i costi delle chiamate verso l'estero sono molto più
convenienti di ogni offerta degli operatori europei, le cui tariffe
base arrivano a 6 € al minuto. Nelle valli naturalmente non vi è
segnale, ma nel paese e lungo tutte le strade si.
Autosoccorso:
considerare attentamente il fatto di essere completamente
soli nelle valli; in questi luoghi non ci si possono aspettare soccorsi
esterni rapidi, quindi è necessario dotarsi di materiale di
autosoccorso e prevedere la possibilità di allestire una barella di
emergenza.
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