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L’Armenia
è un piccolo paese situato nell’altopiano e la catena montuosa del
Caucaso Minore, poco piu’ esteso della Lombardia, ma con una densità di
popolazione tre volte inferiore. Non ha sbocchi sul mare, confina con
la Turchia a ovest, la Georgia a nord, l'Azerbaigian a est, l'Iran a
sud. Con due dei quattro paesi confinanti non ha nessuna relazione né
comunicazioni: la Turchia per via del genocidio armeno perpetrato dal
governo dei “Giovani Turchi” ai tempi della Prima guerra mondiale,
l'Azerbaigian per l’eterno conflitto per il controllo della regione del
Nagorno Karabakh, un'exclave armena in territorio azero che fu
assegnata al governo di Baku da Stalin. Fortunatamente le relazioni
sono buone con la
Georgia, altro paese cristiano, e per varie ragioni anche con l’Iran,
con un unico accesso stradale nel breve confine di 35 Km.
Le nuove generazioni guardano all’Europa, e l'Armenia ha aderito al
programma “Partnership
for Peace”
della NATO e al Consiglio d'Europa, ma la dipendenza dalla Russia
sembra evidente viaggiando nel paese, anche solo per il gas!
Insomma,
un piccolo paese, con una storia molto travagliata, un’economia
difficile ed abbastanza povera, ma tante attrazioni certamente non per
il turismo di massa, ed una popolazione gentile ed ospitale.
Nel
già lontano 2012 visitammo l’Armenia con lo scopo di fare
sci-alpinismo, ci appoggiammo ad una agenzia per la logistica,
trasporti vitto e alloggio, una guida turistica ci accompagnava negli
spostamenti, naturalmente sulle gite sci-alp eravamo indipendenti. Fu
un bellissimo viaggio, tra le cime piu’ belle e importanti sciate il
Monte Aragats (4080 m) e il Monte Ishkhanasar (3550 m), un po’ di mete
turistiche, e la
scoperta di un paese dai mille contrasti.
2025.
Decidiamo di tornare in Armenia, ma questa volta in assetto
completamente diverso: in estate, con le biciclette, e viaggiando in
indipendenza.
Un viaggio di questo tipo richiede una
pianificazione molto piu’ attenta, a partire dal tragitto, con lo
studio sulle cartine gps di un tracciato che preveda tappe del giusto
sviluppo e dislivello per poter essere percorse con le bici cariche
delle borse con tutto il necessario.
Decidiamo di essere nel
limite del possibile “leggeri”, senza portarci tendina, sacco pelo e
materiale per cucinarci, a maggior ragione le tappe devono essere
studiate meticolosamente, per essere sicuri di poter completare le
tappe raggiungendo villaggi dove è possibile dormire e mangiare.
Il
gruppo non può essere molto numeroso, pochi e molto ben affiatati, per
poter superare ogni eventuale difficoltà si possa presentare. Con noi
ci sono Pascal, ex collega di lavoro ora in pensione, e la sua dolce
metà Fabienne. Non é la prima volta che facciamo le nostre
vacanze in bici insieme, con o senza appoggi, il feeling fra di noi è
sempre stato perfetto, mai un disaccordo su una decisione da prendere!
Atterriamo
a Yerevan nel pieno della notte, non avevamo trovato la possibilità di
prenotare un trasporto dall’aeroporto all’Hotel, e con le nostre
ingombranti bici imballate siamo obbligati a prendere il passaggio da
due taxi abusivi che ci estorcono il doppio di una normale tariffa
turistica … In Hotel pisoliamo tre orette, poi una spartana colazione a
base di bulgur, salsiccia industriale, uova sode, e pseudo caffè … ci
manca già il nostro espresso.
Montiamo le nostre bici, che
per fortuna sono arrivate senza danni, un dubbio che si presenta ogni
qualvolta le imbarchiamo su di un volo, e ci rimane pomeriggio e sera
per un po’ di turismo nella capitale.
Raggiungiamo a piedi il
Tsitsernakaberd, il caldo è quasi soffocante, ma non vogliamo
rinunciare a rivisitare il museo del Genocidio armeno, perpetrato dal
governo dei “Giovani Turchi” dell’impero Ottomano, che nel 2012 ci
aveva impressionato! Poi tra una birra ed un’altra girovaghiamo per le
vie del centro fino alla nostra prima cena armena.
Secondo
giorno: la mattina presto finalmente cominciamo a pedalare!
Le
ciclabili non esistono in Armenia, così come i ciclisti, sfruttiamo i
marciapiedi per allontanarci dal centro della capitale, poi un paio di
volte dobbiamo invertire la rotta perché le stradine minori che abbiamo
tracciato sul GPS finiscono a delle cave. Alla chiesetta apostolica di
Oshakan, dove è sepolto l'inventore dell'alfabeto armeno Mesrop
Mashtots, facciamo una breve sosta rifocillandoci al negozietto
attiguo, sono tutti molto gentili e ci offrono piccoli frutti canditi,
sicuramente siamo un po’ una stranezza per loro … stentano a credere
che viaggiamo soli in bici!
Sugli ultimi chilometri in salita per
raggiungere Byurakan-Antarut soffriamo la calura pomeridiana, per
fortuna non mancano piccoli negozi dove procurarsi una bibita fresca, a
bordo strada ritroviamo i resti di un carro-armato che ricordiamo dal
nostro viaggio nel 2012, il tempo sembra congelato, ma i nuovi numerosi
hotel ci fanno capire che anche qui le cose sono molto cambiate.
Finalmente
raggiungiamo la prima guest-house, apprezziamo l’accoglienza che ci
viene riservata. Il tavolo sotto il berceau è il posto ideale dove
possiamo rilassarci e poi avere una lauta cena a base di carne
grigliata e verdure dell’orto, che sarà una costante per tutto il
viaggio.
Ora cominciamo ad entrare in sintonia con il posto ed il viaggio!
Prossima
meta il Lago Kari, a quota 3200 m, che avevamo raggiunto con gli sci
nel nostro precedente viaggio, e dormito nella baracca dei guardiani
della stazione meteo. Una importante salita all’inizio ed un’altra alla
fine per un totale di 1600 metri di dislivello, deliziati da una
birretta a bordo lago, alla base del pendio che porta al Monte Aragats,
la vetta più alta dell’Armenia.
In
discesa i primi incontri con i tipici cani pastori armeni, i “Gampr”.
Massicci per 60 Kg di peso, all’apparenza aggressivi, se avvicinati
lentamente si rivelano affabili e bellissimi, nessun problema per Sonia
e me, qualcuno invece per Fabienne, non così
amante dei cani, che un po’ impaurita invece di rallentare accelera per
fuggire, innervosendoli e spronandoli all’inseguimento! La scorteremo
per i prossimi incontri.
Per
la felicità delle nostre ragazze … la mattina successiva ripercorriamo
la prima ripida salita con l’aggiunta delle borse, per poi scendere per
dolci pendii in direzione di Aparan.
Per
evitare la strada principale serpeggiamo piacevolmente per piccoli
villaggi, improvvisando una sosta quando troviamo un negozio con
annesso panificio, dove acquistiamo e divoriamo un lenzuolo di Lavash,
il tipico pane armeno senza lievito molto sottile. Buonoooo!
Aparan
è una bella cittadina, in mezzo alle colline e foreste sul versante
nord-ovest dell’Aragats, pernottiamo in un delizioso chalet tutto per
noi in un largo podere.
Il
proprietario, dopo le presentazioni ci lascia completamente soli per
recarsi a Yerevan.
Questa
sera Sonia cucina per noi una pasta carbonara con ingredienti “armeni”,
il risultato è ottimo! Al ritorno il proprietario ormai in sintonia con
noi ci racconta di essere andato al cimitero a salutare suo figlio
morto precocemente. E’ una bella persona, non fa pesare la sua
tristezza e dopo i primi approcci in un misto di francese inglese
italiano russo ed armeno terminiamo la serata con vodka e coca-cola
davanti ad un bel fuoco.
Salutiamo il nostro ospite e la sua
bellissima Lena, un giovane dobermann che si è già affezionato a noi,
soprattutto a Sonia, e partiamo per la prima tappa “sorpresa” di questo
viaggio.
Pochi chilometri dopo Aparan, al villaggio di Lusagyugh
l’asfalto termina, ci troviamo di fronte una sterrata in cattive
condizioni. Un uomo a piedi in senso contrario ci guarda e fa segno col
cappello: “chapeau”!
Non
abbiamo scelta, il giro sulle strade principali per raggiungere la
nostra meta a Meghradzor sarebbe troppo lungo; quindi, pazientemente
saliamo i 12 Km malmessi che ci portano fino ad un passo a 2712 m di
quota, dovendo spingere qualche tratto le bici, troppo pesanti su
alcune pendenze con fondo disconnesso. La discesa fino al villaggio di
Hankavan è a tratti molto ripida, nella parte alta solo una traccia nei
prati, in basso con grosse pietre e malmessa, impossibile per qualsiasi
4x4 o perfino mezzi militari. Infatti, ne incontriamo uno abbandonato
proprio a metà del tratto piu’ ripido, ed una pattuglia di militari
alla fine della discesa che ci guardano incuriositi! Ora capiamo il
perché del “chapeau”!
A
Meghradzor la nostra guest-house è l’abitazione di una coppia di
contadini, lasciamo le bici in un locale buio con delle botole che ci
spiegano essere i forni per cuocere il pane Lavash. Alloggiamo nelle
loro camere, non sappiamo dove andranno a sistemarsi loro,
l’accoglienza comunque è squisita, e ci da modo di capire lo stile di
vita rurale in questi villaggi.
La sera proviamo a studiare di
nuovo le cartine GPS: le autostrade sono in rosso, le strade principali
in arancione, poi ci sono le gialle che dovrebbero essere quelle
minori, la sterrata che abbiamo percorso è segnata come strada bianca,
con l’importante dicitura di “Highway”. Ci aspettavamo tratti di
sterrato, ma non una pista impercorribile da ogni mezzo! Ora sappiamo
che Highway significa semplicemente una “way high”, cioè una traccia in
quota, e quella del giorno seguente ha la stessa classificazione!
Convinciamo le ragazze che domani le aspetta l’ultima tappa così
faticosa su questa Highway, sapendo bene che mentiamo …
Da
Meghradzor 12 Km di sterrato a tratti malmesso ci conducono al Passo di
2636 m, anche qui impossibile a qualsiasi mezzo, guardando la traccia a
posteriori vedo tratti al 14-16% con una breve punta al 23,8%! Per
fortuna la discesa invece è migliore, e nonostante due innocue cadute
di Sonia arriviamo indenni a Margahovit.
Passando il villaggio di
Fioletovo notiamo tratti somatici completamente diversi. Pascal
incuriosito scoprirà che si tratta di una colonia di Molokan emigrati
dalla Russia, cristiani che rifiutano la gerarchia della chiesa,
credono solo nella Bibbia, e vivono un’esistenza rurale evitando ogni
modernità; in qualche modo mi ricordano i Mormoni.
Facciamo
tappa a Dilijan, una bella cittadina immersa nelle foreste nonostante a
bassa quota, effetto del lato nord della montagna. Considerata la
regione del miele…. purtroppo il miele è l’unica cosa che non ci capita
di assaggiare nella deliziosa guest-house che ci ospita, nonostante la
cena e la colazione siano state le migliori del viaggio!
Una breve
tappa fino a Khachardzan per riposare dalle due Highway consecutive,
gustiamo il primo caffè degno di questo nome in un baracchino a bordo
strada; ad ogni incontro la prima domanda che ci viene posta
è
“Rusky?”, cioè “siete russi? E lì a spiegare no, due francesi e due
italiani, al che parte una canzone d’Aznavour!...
La
strada prosegue per il lago Sevan, un passo a 2174 m, ma su asfalto ci
sembra tutto facile. Nel tratto prima e dopo Chambarak ci troviamo a 4
Km in linea d’aria dal confine con l’Azerbaijan, una lunga linea
collinare che continua sul lago Sevan separa i due paesi sempre in
guerra, nessuna strada attraversa il confine! La discesa in vista del
lago ci apre il cuore, e ancor piu’ l’appetitosa sosta in una locanda
sul lago, dove gustiamo il barbeque di porco piu’ buono della mia vita,
e per la prima volta una birra alla spina!
Lo chalet che abbiamo
prenotato è a 100 m dal lago, dove non può mancare un rigenerante
bagno! Le strutture in riva al lago sono veramente rare, non riusciamo
a capire come mai queste località non vengano sfruttate un po’ di piu’
a scopo turistico!
La
nostra tappa successiva costeggia tutto il lago, strada principale ma
veramente poco trafficata, 80 km con una sosta per rifocillarci sotto
una pensilina con una fontanella all’ingresso di un cimitero … numerose
macchine si fermano per riempire l’acqua alla fontanella, un uomo ci
osserva attentamente mangiare le nostre scarne provviste, cerca di
scambiare due parole, poi forse “impietosito” ci pone una grossa bella
pagnotta stile georgiano, che accettiamo molto volentieri!
Giunti
a Martuni il tempo di una breve pausa, poi propongo a Pascal di andare
noi due soli in perlustrazione della tappa successiva. Per questo
penultimo giorno avevo scelto una traccia, che non era neppure una
strada “bianca” sulla mappa, ma proprio una traccia tratteggiata, il
che significa sentiero, ma considerata l’esperienza delle Highway la
cosa ora mi preoccupa non poco! Ora ho individuato una strada “gialla”,
che anche se piu’ lunga dovrebbe essere piu’ sicura!
Tentiamo
una scorciatoia “bianca” per raggiungere la strada “gialla”, ma si
rivela peggio delle precedenti, poi la mia sella si rompe e sono
costretto a rientrare, anche per non far preoccupare le ragazze che ci
aspettano! Pascal prova a continuare per altri 6 Km da solo, ma quando
rientra conferma lo stato malmesso della stradina, e scopriamo sul GPS
che non ha raggiunto la famigerata strada “gialla”. A malincuore scelgo
un giro piu’ lungo che su asfalto ci dovrebbe portare a questa “Highway
gialla”.
Sveglia alle 5 per essere pronti in sella alle 6, la giornata si
preannuncia lunga.
Il
tratto di asfalto scorre veloce e senza auto, finalmente raggiungiamo
la “gialla”, con un po’ di disappunto constatiamo si tratti di un’altra
sterrata impegnativa; saranno i 90 Km piu’ lunghi della nostra “vacanza
a due ruote”!
Tutto
sommato il primo tratto si presenta pedalabile, nei prati a distanza
vediamo contadini che fanno il fieno, incrociamo uno di loro su una
jeep, ci domanda “Rusky, dove andate?”. Alla mia risposta “Artashat” si
mette le mani nei capelli, poi allarga le braccia e in inglese stentato
mi dice “big rocks”, quindi col braccio simula la figura di un serpente
“snakes, snakes”, infine attinge da un sacchetto sul sedile e mi porge
due manciate di caramelle, come a dirmi “avrete bisogno di energie!”
Non dirò nulla ai miei compagni, meglio lasciare pedalare tranquilli
senza aggiungere preoccupazioni!
Prima
del passo incontriamo l’ultimo insediamento di pastori, ci offrono il
buonissimo the fatto con le erbe che raccolgono li intorno, e ci
mostrano la rudimentale casera dove fanno il formaggio, di cui non
conosco il nome, ma è l’unico che abbiamo trovato in tutto il viaggio.
Riusciamo ancora a riempire le borracce d’acqua poco prima del passo a
2895 m, ci sentiamo sollevati, pensiamo che il piu’ è fatto, non ci
rimangono che 50 Km di discesa. Mai supposizione fu piu’ sbagliata, ce
ne accorgiamo appena cominciamo la discesa, su una mulattiera che si fa
via via più disconnessa, ecco le “big rocks”, che ci costringono a
scendere di sella parecchie volte; per fortuna non avvistiamo invece
gli “snakes, snakes” …
Al
contrario della salita, su questo versante sud l’acqua è totalmente
assente, la temperatura comincia a salire, dobbiamo stare attenti a
quanto beviamo.
Dopo una ripida discesa intravediamo un colletto,
da cui diparte un’improbabile traccia in ripida salita; Sonia subito mi
chiede se non dovremo passare di là, guardo la mappa, e cerco di
convincere me stesso prima, ma evidentemente non c’è altra possibilità.
Saranno solo 100 m di dislivello, ma il fondo è distrutto, la pendenza
spesso al 14%, il GPS misurerà una punta del 24,5%! Spingere la
bicicletta diventa un’impresa, un breve tratto poi si tirano i freni
per non perdere terreno, ma spesso le ruote slittano all’indietro un
po’ e tocca ripetere!
Su
questo lungo tratto di discesa non vi sono insediamenti di pastori,
panorama affascinante ma arido, non ce lo diciamo ma una caduta o un
minimo problema meccanico o fisico potrebbe rilevarsi critico, magari
pernottare all’addiaccio senza piu’ acqua.
Ci fermiamo a mangiare
un boccone accovacciati all’ombra di una piccola pianta solo quando
intravediamo una cava con la sterrata usata dai camion, il che ci da
quasi garanzia di poter raggiungere la nostra meta; inoltre incrociamo
finalmente una jeep, gentilmente ci offrono una bottiglia di acqua
freschissima.
Sull’ultimo
tratto percorso dai camion il fondo è pessimo, una sabbietta
sottilissima e infida, tant’è che sull’ultimo chilometro Fabienne
spiana e si spela una gamba, ma niente di grave, e ormai siamo alla
strada asfaltata, che dovremo seguire ancora per una quindicina di
chilometri fino ad Artashat.
Quando raggiungiamo il primo
villaggio con un piccolo negozio è festa grande, a base di birra fresca
e secchiate d’acqua sulla testa. Ricorderemo questo momento a lungo …
Ad
Artashat alloggiamo in un Hotel dallo standard decisamente superiore a
tutti i giorni precedenti, siamo stanchi ma rilassati, la cena in un
enorme ristorante dove siamo gli unici clienti è buona ed abbondante.
Prima
di ripartire per Yerevan riusciamo a lavare le bici dalla sabbia in un
autolavaggio di fronte all’Hotel, l’ultima tappa è facile e non lunga,
ce la godiamo appieno. In Hotel giusto il tempo di smontare e
rimballare le nostre bici, prima di una cena in un caratteristico
ristorante Georgiano, a mezzanotte il minivan che questa volta sono
riuscito a prenotare ci conduce all’aeroporto.
Anche questa è andata, che esperienza superlativa!
Paolo
Vitali
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