Groenlandia - Greenland
1996
Impressioni di una salita nell'
"ombelico del mondo"
"Hello
Paolo, Christian's speaking. We met six years ago in Yosemite, we
climbed
the Half Dome together. Do you remember me? Would you like to come with
me to Greenland for a new ascent? "Certo che mi ricordo di Christian,
un
simpatico signore svizzero conosciuto in Yosemite 6 anni fa; ricordo
che
era uno specialista della Groenlandia, dove ci piacerebbe andare
eccome!
Tutti gli anni, pensando ai progetti per l'estate ci si ripresentava la
Groenlandia, e Christian mi tornava in mente. Poi regolarmente si
accantonava
l'idea per i costi elevati, la mancanza di documentazione specifica e
di
un progetto preciso, rimandandola per un altro anno con il pensiero:
"Chissà
se Christian si ricorderà di noi un giorno?!" Si è
ricordato, e questa improvvisa telefonata mattutina fuori programma da
un tocco tutto speciale alla giornata ed alle settimane che seguiranno.
L'idea di vivere questa esperienza con un'amico incontrato in viaggio
di
nozze, e non più rivisto per sei anni, è simpatica; inoltre
l'opportunità di arrampicare con altri due giovani alpinisti mai
conosciuti, un'altro svizzero ed un francese, è una novità
assoluta per noi.L'obiettivo esiste: è il pilastro centrale del
Nalumasortoq nel fiordo di Tasermiut, 600 metri di rosso granito
verticale,
ed i problemi logistici sono in gran parte risolti dalle undici
precedenti
esperienze di Christian in Groenlandia. Rimangono
i prolemi economici. Molti con cui parliamo, anche per un sostegno
economico
per il viaggio che si prospetta molto dispendioso, denigrano il nostro
progetto, seppur sia convinto che molti di essi non sappiano neppure se
"Greenland" si trovi nell'emisfero australe o boreale. D'altronde il
circo
dell'alpinismo ha sempre girato così: i progetti roboanti hanno
sempre "pagato" di più, mentre le novità sulle montagne sconosciute
vanno corteggiate a proprie spese! Ma tutte le difficoltà vengono
poi in qualche modo superate, tanta è la voglia di anmdarci comunque,
ed è così che a fine maggio io e Sonja partiamo in macchina
alla volta di Copenhagen, dove abbiamo il volo. Christian e Jannick
sono
già sul posto da un paio di giorni, mentre Patrick ci raggiungerà
il giorno seguente. Questo viaggio in macchina ci dà l'impressione
di essere in partenza per un lungo week-end sulle Alpi, piu' che per
una
spedizione extraeuropea, ma d'altro canto la Groenlandia è una
dipendenza
della Danimarca, e quindi territorio europeo a tutti gli effetti. Primo
scalo a Sondre-Stronfiord, punto di connesione per i successivi voli
aerei:
non esiste paese; oltre all'aereoporto c'è solo una cava in lontananza
ed alcuni alloggi prefabbricati. Arriviamo a Narsarsuaq, ma anche qui
oltre
all'aereoporto, costruito dagli americani durante la seconda guerra
mondiale,
non vi è che un piccolo porto navale, cisterne di carburante, alloggi
realizzati con pannelli prefabbricati di cemento ed un hotel; stessi
pannelli
prefabbricati, stessa atmosfera glaciale del clima. Da qui gli
spostamenti
avvengono unicamente tramite elicottero, o con la nave se la banchisa
lo
permette. Finalmente Nanortalik: vere abitazioni, un porto e
persino
dei passanti! Il paesaggio è sicuramente suggestivo ma, come temevamo,
rispetto ai viaggi in Oriente e Sudamerica, qui manca completamente la
componente "folkloristica" ed il contatto con la popolazione locale,
per
noi molto importante. Non abbiamo però il tempo di ambientarci;
appena sbarcati dall'elicottero Christian ci aspetta in gommone con il
motore acceso, vuole sfruttare l'alta marea e la calma di vento, e
presto
lo Zodiac si aggira tra gli iceberg all'ingresso del Tasermuit
Fiord. Una
pezza strappata del gommone ci obbliga ad una sosta di riparazione
d'emergenza,
ma per nostra fortuna non piove, anche se il cielo è minaccioso,
ed in mare è calmo. Quando attracchiamo quasi al termine del fiordo
in vista dell'Inlandsis, la calotta glaciale che si getta in mare,
pensiamo
di mangiare qualcosa ed infilarci nel sacco a pelo sotto il telo del
gommone,
ma Christian scalpita: è ancora presto, sono solo le 22:30, ed abbiamo
tempo per la scarpinata fino al campo base. Queste giornate artiche
sembrano
non finire mai; ci adattiamo così ai ritmi dell'estate senza notte
del "paese delle ombre lunghe". Primo giorno di campo base. Mentre
taglio
un pezzo di formaggio, il coltello scivola e mi affetto un
polpastrello:
il mondo mi crolla addosso..... Tutti gli sforzi ed i sacrifici
per
venire sin qui ad arrampicare, sembrano vanificati da una banale
disattenzione.
Da principio cerco di riattaccarmi il pezzo reciso che ritrovo sulla
fetta
di formaggio, ma il rischio di infezione è troppo alto; così
disinfetto fiducioso in una rapida cicatrizzazione. Mi sento
completamente
inutile, sdraiato in tenda per il dolore mentre gli altri preparano il
campo. Il giorno successivo, con il braccio al collo riesco ad aiutare
nel trasporto dei viveri dal gommone al campo, ed il mio morale
migliora
sensibilmente. Le notti passano insonni, non riusciamo ad
abituarci
all'assenza del buio. Qui una settimana non è composta da sette
giorni e sette notti, ma semplicemente da 168 ore con diversa intensità
di luce. Il sole di mezzanotte e' fantastico, un'incantevole luce
soffusa
che crea un'atmosfera irreale di tenui colori pastello, ma dopo qualche
giorno capiamo quanto sia bello anche il buio! Sicuramente al ritorno
da
questo viaggio riusciremo a "vederlo" e ad apprezzarlo molto di più.
Il tempo è brutto, nevica, ma nel primo viaggio sullo zoccolo con
il materiale non ci crea problemi. Mi sono fasciato il dito in modo da
non usarlo quando indosso le moffole, e su terreno facile di misto
riesco
persino ad andare davanti e fissare le corde; sono quasi contento.
Inoltre
la vista del magnifico pilastro, il più imponente della valle, mi
galvanizza molto! Ancora un viaggio sullo zoccolo con il tempo in
leggero
miglioramento, poi lascio che Patrick e Jannick comincino le danze
sulle
fessure verticali, per dare al mio dito ancora mezza giornata di tempo
prima di tormentarlo tra fessure, nuts e friends. Ora
siamo al settimo cielo, ma poi l'euforia cala un po' quando, guardando
col binocolo dal campo base, ci accorgiamo di quanto sia lenta la
progressione
dei due ragazzi. Prima di sera riescono a salire solo due lunghezze di
corda. L'indomani ne capisco il motivo: l'artificiale è veramente
complessa ed obbliga ad un'uso raffinato di micronut, chopper-head e
cliffhanger;
tutto torna utile per completare queste interminabili lunghezze,
rigorosamente
da 50 metri. In altre occasioni non avrei gradito questo stile di
progressione
laboriosa, ma nelle condizioni in cui mi trovo, è l'unico che mi
permette di arrampicare da capo cordata. Mai avrei potuto affrontare
serie
difficoltà in libera, con una voluminosa medicazione al dito ed
un guanto da lavoro per proteggerlo, con solo quattro dita libere. Sono
anche un po' preoccupato per aver guadagnato appena due tiri e mezzo,
ma
Christian è radioso; continua a dire "excellent: sono tiri da almeno
4 ore ciascuno e ne hai impiegate meno di 3, con 9
dita.....(risatina).....excellent!"
Ci alterniamo in parete altri 3 giorni, giungendo a 200 metri dalla
cima.
Ora non ci rimane che "the last push", l'ultimo sforzo..... Un giorno
di
riposo per tutti e poi saliremo insieme per tentare la cima. Sveglia
ore
2:45. Potrebbe essere la volta buona. Ci aspettano un'ora e mezza a
piedi
fino al nevaio, qui ci si imbraga e si salgono con le maniglie jumar i
150 metri di zoccolo fino alla grande cengia nevosa, dove si recuperano
le scarpette d'arrampicata ed un po' di materiale; poi altre 2
ore
e mezza di jumaring sui 500 metri di fisse. Dal punto più alto
raggiunto,
tre lunghezze molto impegnative ci separano dagli ultimi tiri
sommitali,
che sembrano essere più facili. Il tempo è un po' velato,
ma sembra tutto sommato buono; comunque siamo del tutto indecisi. In
genere
con il tempo incerto è molto difficile prendere una decisione, ma
l'indisposizione di Sonja ci toglie ogni dubbio sul dafarsi. Questa
notte
è stata male parecchio; solitamente non ha problemi "in quei giorni",
ma oggi è ko e non può fare sforzi esagerati, specie il faticoso
jumaring! Chissà
se Christian ha mai dovuto considerare questo genere di problemi nelle
sue spedizioni?! Comunque comprende benissimo; forse saranno più
contrariati gli altri due giovanotti, ma non me la sento di lasciarla
qui
sola al base mentre andiamo in cima: se la merita anche lei. Così
decidiamo di aspettare il giorno successivo, se c'è veramente alta
pressione non farà differenza. Invece a mezzogiorno il cielo è
già grigio e tira un forte vento, ed ora saremmo in ritirata sotto
l'acqua battente. Potremmo suggerire alle prossime spedizioni un
barometro
femminile. Ci aspettano due settimane di pioggia e vento . Ogni mattina
alle tre in punto controlliamo la meteo con la speranza di partire, ma
regolarmente facciamo ritorno nel sacco a pelo sempre piu' umido;
odiero'
quest'orario per il resto della mia vita! Mezza giornata di tregua ci
permette
una veloce salita alla facile Pyramide, ma per il resto ci sorbiamo una
noiosa vita da campo base. Durante le belle giornate precedenti sul
pilastro,
avevamo adocchiato su altre pareti magnifiche possibilità di salite
in libera, da realizzare in giornata. Ora, ad ogni giorno di brutto
tempo
le vediamo sfumare ad una ad una, e cominciamo anche a temere di non
poter
terminare la nostra via. Il movimento in parete è divertimento,
godimento, anche se condito dalla fatica: in fin dei conti è quello
per cui siamo venuti sin qui. La solita domanda degli alpinisti "ma chi
me lo fa fare" non me la pongo durante l'intenso sforzo fisico, ma
piuttosto
in queste condizioni di snervante attesa. Le giornate di ferie sono
preziose
e mi dispiace sprecarle così; penso a tutte le cose che avremmo
potuto fare in due settimane, anzichè stare in questo sacco a pelo:
la via in Qualido da terminare, la falesia che stiamo attrezzando,
qualche
tranquilla giornata di mare.... Siamo completamente bloccati in questo
"ombelico del mondo"; non possiamo nemmeno tornare a Nanortalik: il
fiordo
non è navigabile per la presenza di troppi iceberg, mentre l'Inlandsis
chiude altre possibilità di movimento via terra. Almeno in Patagonia,
dove anche lì il tempo non scherza, basta portarsi fuori dal circolo
delle montagne per essere di nuovo al sole, potendo così compiere
meravigliosi trek in una natura rigogliosa. Ma in questo buco, pur
essendo
circondato da enormi possibilità di nuove salite, quando arriva
il brutto tempo sei fregato! Puoi
solo fare interminabili partite a carte, mangiare e sonnecchiare nella
penombra artica. Questa limitazione territoriale, sommata alle
condizioni
meteo, rende l'attesa un po' angosciante. O forse è solo che comincio
a diventare vecchio per questo genere di cose? Il conto alla rovescia è
agli sgoccioli, domani sarà l'ultimo giorno utile per finire la
via; comunque dovremo salire in parete per togliere le fisse. E
all'ora,
tanto vale tentare la cima! Ore 11.00: Il vento è calato e non piove
più. E' un po' tardi per la partenza, ma basta non formalizzarsi
troppo sul concetto notte/giorno e decidere di continuare ad
arrampicare
non stop. La risalita delle fisse sembra non terminare mai, per non
parlare
di questi ultimi tiri nel diedro sommitale vertigo-strapiombante, con
un'occhio
sempre alle nuvole minacciose che ogni tanto lasciano andare quache
gocciolina,
giusto per ammonirci che il successo non è per nulla scontato. Poi,
finalmente, la cima; uno stupendo balcone completamente piatto con
vista
sul fiordo, l'Inlandsis e le montagne sconosciute circostanti, fin dove
le nuvole lo permettono. Neppure tanto male questo "ombelico del
mondo".
La pioggia ci grazia anche durante la discesa che, già faticosa
di per se, sarebbe stata oltremodo massacrante con le corde bagnate.
Arrivati
alla base, vogliamo poi riportare tutto il materiale in un solo viaggio
al campo, caricandoci in modo spropositato. Ed è così che,
quando un sasso si muove sotto il mio piede, lo zaino mi trascina
rovinosamente
giù per la ripida morena. Contusioni, graffi vari ed un ginocchio
fuori uso. Ecco come rovinare un lieto fine! Forse uno scherzetto
dell'Inlandis
per questa salita "rubata" in estremis! Per raggiungere il campo base
non
ho molte alternative alle mie gambe; così, stringendo i denti ed
imprecando come un turco, dopo 5 ore sono alle tende. Questo pallone a
forma di ginocchio ora mi da un dolore insopportabile. Sono costretto
sdraiato
sull'espanso, ogni ora che passa peggiora, e gli analgesici stanno per
finire. Di raggiungere il fiordo non se ne parla; non avrei mai pensato
che un giorno mi sarei dovuto far tirare fuori dai guai. Chissà
perchè gli alpinisti si sentono sempre invulnerabili?!
Paolo
Vitali & Sonja Brambati
I nostri compagni di
viaggio:
Christian Dalphin,
55 anni , ginevrino; ideatore ed organizzatore
di questo viaggio. Lavora come tecnico in un laboratorio medico, è
membro del GHM, e passa quasi tutte le sue ferie in Groenlandia (13
spedizioni),
oltre ad aver vissuto numerose altre esperienze tra le quali Yosemite e
Terra di Baffin.
Patrick Berthet, 25
anni, francese di Chambery. Forte arrampicatore
sia in libera che in artificiale, ingeniere meccanico, Guida Alpina.
Grande
esperienza sulle Alpi, in particolar modo al Monte Bianco, questa era
la
sua prima esperienza "extra-europea", a cui ne seguiro subito altre.
Purtroppo
è tragicamente morto su di una cascata in canada nel Gennaio
1999.
Jannick Flugi, 25
anni, ginevrino. Operatore turistico, sportivo
esuberante e versatile. Nonostante i soli due anni di esperienza
alpinistica
si e' adattato immediatamente al luogo ed alle nuove e difficili
situazioni.
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