Kyrgyzstan Pamir Alai - Turkenstan '98 Impressioni da un viaggio Tutta colpa di Vecchioni che, negli anni della nostra adolescenza, ci ha impresso indelebilmente nella memoria Samarkanda, fantastica citta' posta da qualche parte in remoti paesi orientali, dei quali i nomi e le capitali ci apparivano insoliti: Kyrghyzstan, Uzbekistan, Tadjikistan, Bishkek, Tashkent, Dushanbe... Potenza di una canzone !Poi, spinti come sempre dalla voglia di programmare un viaggio alpinistico combinando la salita di qualche parete con la scoperta di luoghi e popolazioni sempre diversi, si e' sviluppata in noi l'associazione di idee tra la mitica Samarkanda e le fantastiche torri granitiche della valle di Ak-Su. E' stato facile quindi scegliere dove andare. A solleticare ulteriormente la fantasia, inoltre, si e' aggiunta la prospettiva di esplorare una valle a cavallo tra le due note aree alpinistiche del Pamir Alai, di cui nessuno sapeva niente: ne un'indicazione sulle eventuali possibilità, ne tantomento qualche fotografia. La supposizione geniale era che, vista la vicinanza di zone così ricche di bel granito, anche in quel luogo avrebbe potuto esserci qualcosa di buono. Ci siamo messi presto al lavoro per realizzare questo progetto, incontrando come primo ostacolo la richiesta di un invito ufficiale da parte di una agenzia locale, per poter ottenere il visto d'ingresso. Questa si sarebbe poi incaricata dell'organizzazione del viaggio, semplificando da un lato l'approccio ad un Paese a noi sconosciuto, ma limitando per contro la liberta' d'azione, e facendo lievitare cosiderevolmente le spese. Comunque, dopo aver espletato questi obblighi, partiamo finalmente alla volta di Tashkent, la capitale uzbeka, dove ci si affianca Artyk, che ci accompagnera' per tutta la durata del viaggio aiutandoci nell' approvvigionamento, nei trasporti, nelle relazioni con la gente del posto (tra cui è difficile trovare qualcuno che parli inglese), e che sarà anche il nostro cuoco e custode al campo base. Quale gradita sorpresa constatare come, durante il viaggio, sia Artyk che gli accompagnatori contattati per aiutarci nel trasporto bagagli si rivelino ottimi compagni e collaboratori.Artyk, un giovane universitario kyrghiso di Bishkek, si dimostrera' particolarmente efficiente nel risolvere i numerosi intoppi che si incontrano in un Paese in via di sviluppo. Grazie alla sua abile negoziazione espletiamo rapidamente l'approvvigionamento dei viveri, e già in giornata partiamo su un mezzo militare a quattro ruote motrici alla volta di Katran.L'autista e padrone del furgone e' un russo molto in gamba ma di poche parole, che non ci degna di uno sguardo. Scopriremo poi che apparteneva all'esercito dell'ex Unione Sovietica e, congedatosi, ha poi riscattato con spirito imprenditoriale il furgone che ora gli garantisce un buon lavoro.Con una certa sorpresa, apprendiamo però che buona parte di questa gente preferiva il precedente regime sovietico che, nonostante i suoi limiti, garantiva un tenore di vita sicuro e dignitoso. Evidentemente il salto ad un'economia di libero mercato e' stato troppo brusco e senza regole, cosicchè oggi, a fronte della classe molto ricca dei nuovi imprenditori, la maggior parte della popolazione non trova lavoro, ed incontra notevoli difficoltà anche a reperire i generi di prima necessità. Il nostro viaggio prosegue lungo un tragitto piu' lungo del previsto, per evitare di passare dalle frontiere con il Tadjikistan gestite da militari corrotti, a detta dei locali, e dopo una dozzina d'ore di viaggio approdiano al piccolo villaggio di Ozgorush in territorio kyrghiso, a pochi chilometri da Katran. E' notte fonda: Sergej, l'autista, scarica persone e bagagli in un prato, ripulisce il suo mezzo, ci fa un cenno di saluto e senza mostrare il minimo segno di stanchezza riparte per Tashkent. Non ci resta che piazzare le tendine e cercare di riposare qualche ora. Al mattino bimbi e uomini a cavallo ci fanno visita, e subito abbiamo un'ottima impressione di loro: sono socievoli, allegri, schietti. Questo non facilita la contrattazione tra loro e Artyk sulla tariffa giornaliera dei cavalli, e solo a pomeriggio inoltrato riusciamo a metterci in marcia entrando nella Valle di Lyalyak che si presenta subito molto bella e verde. Lentamente, appena ci alziamo di quota, gli albicocchi lasciano il posto ad una varieta' di conifere che ricordano molto i nostri cipressi. Durante il cammino ci fermiamo per uno spuntino a base di yogurt, panna fresca, pane, formaggini di pecora e green-tea presso gli ospitali pastori kyrgysi, che popolano le zone con piu' vegetazione. E' ormai buio quando montiamo il campo che, a causa della partenza ritardata, non è nella zona prestabilita; questo non turba i nostri accompagnatori che con flemma preparano il fuoco e la cena: minestra e carne di pecora. Il mattino successivo sveglia non troppo anticipata (fortunatamente), colazione e partenza per un'altra tappa dopo le lunghe operazioni di smontaggio del campo. Raggiungiamo l'Ak-Su Village, un'agglomerato di sole tre baite di pastori, da cui si intravedono i primi picchi rilevanti: sul fondovalle l' Ak-Su ed altre imponenti montagne con pareti di misto e ghiaccio rivolte a nord, molto pericolose, già teatro dei campionati russi di alpinismo. Non e' quello che cerchiamo, lo stile "Russian Champions" non ci interessa; cerchiamo invece pareti dove poter esprimere un'arrampicata tecnica senza grossi pericoli oggettivi, ma qui nella Lyalyak non riusciamo a individuare niente di adatto. Cosi', dopo un campo improvvisato sotto la pioggia battente, il mattino seguente proseguiamo fino a valicare il passo di Aktubek, alto circa 4300 metri. diventare la nostra base, ma sopra di noi incombe una parete di terribile conglomerato...Ora capiamo perché questo posto è inesplorato... Anche nel 1991, sulla base di una semplice intuizione, eravamo andati nella Valle del Myiar nell'Himalaya Indiano, trovando una valle secondaria con torri mai viste da occhio umano: un'esperienza fantastica, che ci ha spinto a ritentare qualcosa di simile. Anche quest'anno infatti siamo partiti sulla base di una supposizione, che pero' si e' rivelata sbagliata, ma fa parte del gioco. Tra qualche anno, quando la tecnologia renderà disponibile anche agli alpinisti l'occhio dei satelliti, sara' ancora possibile vivere esperienze simili piene di incognite? Nonostante tutto il morale è alto, grazie all'armonia che si è stabilita tra noi ed i nostri compagni di viaggio, ma siamo comunque un po' perplessi: il bidone tanto temuto è arrivato, ed urge una decisione sul da farsi! In questi momenti e' importantissimo l'affiatamento nel gruppo per non lasciarsi perdere d'animo o litigare inutilmente. Le possibilita' che abbiamo infatti sono scarse: rientrare subito in Italia con le orecchie basse, oppure tornare a Katran per spostarsi a Voruk, dove trovare altri cavalli che ci portino nella Valle di Karavshin. Perderemmo così molto tempo, accollandoci costi aggiuntivi troppo elevati per le nostre tasche. Esaminiamo attentamente ancora una volta la cartina con Ranger, il piu'esperto dei cavallanti, per scoprire che con altre due lunghe giornate di cammino sarebbe possibile raggiungere la Valle di Karavshin , e quindi Ak-Su e Kara-Su; sembra la soluzione migliore ! Durante le cinque giornate seguenti, dove ci sciroppiamo circa dieci ore di cammino cadauna, il tempo diventa decisamente instabile con improvvisi temporali, evento abbastanza raro in questa regione famosa per il suo "blue clean sky". Terminato l'ennesimo temporale riusciamo finalmente a scorgere i picchi granitici delle Valli di Ak-Su e Kara-Su, praticamente quando ce li troviamo ormai sopra la testa. Grandiosi ! Al campo base incontriamo alpinisti tedeschi, americani e canadesi; tutti ci confermano che questa e' l'estate piu' bizzarra da decenni; sembra sia colpa soprattutto del "Nyno", o di qualche altro demone dell'aria. Alziamo le tende in un luogo molto gradevole e rilassante con piante, erba ed acqua pulita, che riusciamo a prendere da un'affluente del fiume principale, quest'ultimo invece molto torbido. Siamo attrezzati per affrontare una parete stile big-wall, ed addocchiamo una linea di circa 800 metri che potrebbe fare al caso nostro, ma subito realizziamo che un tempo cosi' instabile sconsiglia di rimanere in parete piu giorni. Dobbiamo così cercare linee piu' corte, il più possibile in libera, per poter salire veloci e rientrare prima dei rovesci pomeridiani; l'avancorpo Ovest della Russian Tower (o Peak Slesova) sembra offrirci una linea adatta. In due giorni superiamo alcuni tiri evitando la pioggia quotidiana, lasciando delle corde fisse. Poi altri due giorni particolarmente instabili ci bloccano al base, dove ci concediamo il primo vero riposo da quando siamo partiti. Due dei nostri vicini, l'americano Will ed il tedesco Thomas, non sono ancora rientrati dallo spigolo est del Peak 1000 Years of Russian Cristianity (che bel nome rilassante), e dopo tre giorni in parete devono aver gia patito parecchio freddo ed umidità. Quando poi li avvistiamo con un potente binocolo, uno dei due appare ferito, perchè la loro discesa procede con eccessiva lentezza. Due dei loro compagni e altri tre tedeschi risalgono lo zoccolo per portargli aiuto, mentre noi, che siamo l'unico gruppo dotato di radio, cerchiamo di contattare l'agenzia per richiedere l'elicottero. Solo al mattino successivo riusciamo a parlare con un radioamatore di Tashkent che dara' l'allarme. Thomas probabilmente ha una brutta lesione alla spina dorsale e si trascina a carponi, ma con nostro grande disappunto sembra che il soccorso non venga perche' non ha un'assicurazione ed un'agenzia di appoggio; non avendo la certezza del pagamento, quindi, l'elicottero non si alza. Dopo un'altra giornata di tentativi e disturbati colloqui via radio, finalmente si decidono. Prima che riuscissimo a contattare Tashkent, comunque, un grosso elicottero (militare ?) aveva sorvolato a bassissima quota l'intera vallata ed il campo base, ma nonostante le ripetute richieste di soccorso da terra, compreso un razzo luminoso, ha proseguito imperterrito senza neppure cercare di capire il problema. Finalmente il tempo sembra stabilizzarsi, ed abbiamo la prima giornata intera senza pioggia che utilizziamo per completare la nostra via: "The missing mountain". L'arrampicata entusiasmante ci ripaga di qualsiasi sforzo: il granito e' stupendo, con belle fessure e placche con funghi e concrezioni di ogni genere, e le difficolta' contenute (mai superiori al 6a/6b) permettono a tutti di arrampicare senza mai ricorrere alle jumar. I temporali dei giorni successivi annacquano ogni residua speranza di big-wall, e così ci gustiamo qualche altra camminata e l'immancabile sheep-meet (carne di pecora), affumicata con cura dal nostro Artyk al campo base. Passiamo dall'austero ghiacciaio in fondo alla valle di Ak-Su entrando nella verde Kara-Su, dove le chilometriche pareti dell'Asan e la magnifica nord del Peak 4810, fanno sfigurare la piu' breve parete est della "Yellow Wall" ed una costiera poco piu' a sud, comunque degne anch'esse della massima considerazione. Tornati nella nostra valle, al primo accenno di sole ci troviamo ancora con le scarpette ai piedi, e con altri due giorni nascono due "brevi" vie (rispetivamente 380 e 360 m) di stupenda arrampicata in placca, questa volta sull'avancorpo ovest della "Cetral Pyramid". "A better world" e "Take it easy" concludono elegantemente la fase alpinistica del viaggio. Ormai i cavallanti sono tornati a prenderci, e subito, nonostante l'immancabile trattativa per il compenso, si reinstaura con naturalezza quell'armonia che ci aveva accompagnati durante l'avvicinamento. L'ultimo pomeriggio li invitiamo a fare bouldering su un masso attrezzato per la moulinette, per poi subire la loro vendetta con una sfida al gioco nazionale, l'Ulak Tartish, che consiste nel contendersi rudemente una pelle di pecora stando a cavallo. Non so per chi di noi la nuova esperienza sia stata più traumatizzante, comunque ci sono state grandi risate e muscoli indolenziti per tutti. Al ritorno evitiamo il lungo giro seguito nell'avvicinamento passando per la valle di Batken, che in soli due giorni ci riporta ad Ozgorush. Qui, dopo le abbuffate di carne di pecora, subiamo un'ultimo attentato alla nostra dieta di arrampicatori: ogni cavallante vuole ospitarci nella propria casa, cosi in un giorno e mezzo mangiamo a scrocco senza ritegno! Infine, l'ultima giornata del viaggio non potevamo che passarla a Samarkanda, inizio e fine di questo nostro sogno. Paolo Vitali & Sonja Brambati Ringraziamenti
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